de-“Take it forward”: Gli arrivi a Lampedusa, le violenze razziste e il memorandum Tunisia-UE.

25.07.2023

Negli ultimi giorni più di 2000 persone sono sbarcate al molo Favaloro principalmente partendo dalle coste di Sfax, in Tunisia. Di seguito riportiamo alcuni frammenti di conversazioni con le persone appena sbarcate a Lampedusa che riflettono l'attuale situazione in Tunisia per le persone migranti dai Paesi del sud del Sahara. .  
(I nomi delle persone sono stati volutamente modificati)

"E' da quattro anni che vivo in Tunisia, ormai conoscevo tutti. In ogni posto, in ogni società ci sono i buoni e ci sono i cattivi...nei cafè, nel quartiere uscivamo insieme, non tutti sono razzisti ma ormai la situazione è diventata molto pericolosa. Il mio proprietario di casa è venuto e mi ha detto che dovevamo andare via, non potevamo più stare lì; che dovevamo scappare altrimenti la polizia sarebbe arrivata o la gente stessa ci avrebbe attaccati e bruciato tutto".

Sono le parole di un ragazzo appena sbarcato a Lampedusa e che sottendono tutta la violenza a dover scappare da una città in cui si è vissuto per tanti anni, strappando relazioni sociali e conoscenze. Chi arriva in questi giorni a Lampedusa ha sul corpo non solo la fatica e la difficoltà del viaggio in mare con un barchino in ferro sovraffollato, ma porta con sé gli innumerevoli abusi subiti e la violenza essenzialmente razzista perpetuata da civili e autorità tunisine:

La polizia è arrivata con gli autobus e ha fatto salire le persone per portarle nel deserto, al confine con la Libia. Un nostro fratello è stato portato in Libia così […]

Ed è quello che è capitato direttamente anche a Patricia e il suo bambino Hamadi, di meno di un anno:

Ci hanno portati fino al confine con la Libia, c'era tantissima gente lì: donne, alcune incinte, giovani e uomini. Sono riuscita a scappare e a rimettermi in viaggio verso Sfax...a piedi. Nessun autobus o altro mezzo voleva farci salire perché siamo neri...per fortuna sono riuscita ad avere un passaggio fino a Gabes e poi ho camminato fino a Sfax [...]

Secondo AlarmPhone, più di 1200 persone sono state deportate al confine tra Libia, in una zona desertica e dichiarata area militare. La settimana scorsa la città di Sfax è stata l'epicentro di un ennesimo vortice di violenza razzista. All'inizio del mese di giugno i discorsi xenofobi e populisti hanno iniziato ad intasare nuovamente i social media e il dibattito pubblico. Il giornale tunisino LaPresse, ad esempio, l'11 giugno, ha pubblicato una lettera aperta firmata da "un gruppo di universitari e giornalisti" di Sfax in cui, tra teorie complottiste e razzismo, si puntava il dito contro la presenza di persone non tunisine non bianche fino a rimpiangere "la bella epoca coloniale", riproponendo una parte della lettera:


Durante l'epoca coloniale, la società sfaxiana era composta da comunità ebraiche e cristiane, oltre che da immigrati francesi, maltesi, greci, corsi e norvegesi: un mosaico umano e culturale molto arricchito e coerente, che rifletteva un elevato standard di vita (corretto stile di abbigliamento, comportamento, esigenze, aspirazioni, ecc.)

E' il pensiero nazionalista che avanza a ventate di populismo, razzismo e istigazioni all'odio. Il gruppo di universitari non è mai esistito e il rettore dell'università di Sfax ha categoricamente negato ogni legame con la pubblicazione. Nello stesso periodo hanno ripreso a circolare online i video del "movimento nazionalista" le cui incitazioni all'odio razziale sono protagoniste già da novembre scorso. Nella stessa settimana, a Sfax, ben due sit-in sono stati organizzati per puntare il dito contro i "subsahariani" in città e denunciare il complotto della sostituzione etnica.


"Les africanes", gli africani, i "subsahariani"… è così che ci chiamano laggiù (in Tunisia). Non fanno neanche più la differenza tra studenti e non, vedono solo "i neri".

All'inizio di Luglio, alcuni quartieri di Sfax sono stati il luogo di violenti risse, attacchi e incendi di abitazioni. La morte di un giovane tunisino avvenuta in una rissa ha avvitato ulteriormente la spirale di violenza. Gli interventi della polizia – dopo due giorni! - invece di provare a soffocare le tensione sono piuttosto servite ad aumentare la discriminazione e la messa in pericolo di migliaia di persone non cittadine tunisine e non bianche. Come hanno raccontato alcune persone appena sbarcate a Lampedusa:


Siamo scappati da casa senza più nulla, senza più soldi senza più telefoni, non abbiamo nulla. Siamo rimasti per giorni nei campi di ulivi ma anche lì dovevamo scappare e stare attenti perché venivamo attaccati da gruppi di giovani e polizia. Siamo rimasti senza acqua e cibo per giornate intere.


Noi siamo rimasti in città, alla "rotonda" perché tutti erano lì ed era l'unico posto in cui ci sentivamo sicuri, eravamo tanti ed era più facile difenderci.

La "rotonda" è la Piazza Djebli, a Sfax, dove migliaia di persone provenienti dai paesi del sud del Sahara, vittime di violenze razziste, si sono radunati e accampati; c'è tutt'ora gente lì. Dai video online si vedevano case bruciate, gruppi di persone ammazzate a terra e minacciate con coltelli, umiliazioni. Nel contesto di incontrollabile violenza, la polizia ha caricato su  autobus le vittime di attacchi razzisti per poi deportarle immediatamente nella zona militare e desertica al confine con la Libia o al confine con l'Algeria, in un rapporto di complementarietà e non di rottura rispetto alle violenze perpetuate dai gruppi di cittadini tunisini. Senza nessuna formalità giuridica (nessun decreto di espulsione, foglio di via o simili) gruppi di persone tra cui donne incinte, bambini, persone con disabilità e/o malattie gravi, rifugiati riconosciuti dall'UNHCR) sono stati gettati per giorni senza acqua e cibo nel deserto con il divieto di poter essere assistite da individui e associazioni. Dei solidali sono stati arrestati per aver provato a raggiungere con beni di prima necessità i gruppi di deportat*. Solo la Croce Rossa Internazionale, dopo diverse pressioni e solo dopo qualche giorno, è riuscita ad avere l'autorizzazione ad assistere le persone deportate; le testimonianze dirette denunciano che l'assistenza è stata offerta in cambio di un'autodichiarazione di ritorno volontario. 

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In occasione della conferenza stampa tenutasi davanti l'hotspot di Lampedusa il 4 Luglio scorso, Ylva Johanson, commissaria europea agli affari interni, ha dichiarato che tra le misure per sostenere la Tunisia vi è un supporto diretto all'IOM di Tunisi. Secondo il suo punto di vista il sostegno all'organizzazione internazionale è dovuto all'esponenziale incremento delle richieste di rimpatrio. La distorsione sta nel non collegare le richieste ricevute dall'IOM con le violenze scaturite dal discorso razzista del Presidente Kais Saied dello scorso febbraio. Gli accampamenti e i sit-in davanti alle sedi dell'IOM e UNHCR a Tunisi sono stati e sono tutt'ora il risultato della criminalizzazione, della xenofobia e dei discorsi di odio razzista in cui partecipano attori nazionali e internazionali. E' in questo contesto di odio razzista che si inserisce il memorandum tra Tunisia e UE. Come dichiara Keita, un ragazzo maliano arrivato a Lampedusa:

abbiamo lasciato molti fratelli in Libia e in Tunisia, molti dei quali sono stati arrestati e non sappiamo nemmeno fino a quando [...]

E' quello che è successo al gruppo di richiedenti asilo in sit-in davanti l'UNHCR nell'aprile scorso e alle persone senza documenti arrestate senza garanzie nel centro di el-Ouardeya. E' quello che, da qualche anno ormai, sta succedendo ad attivisti politici, oppositori del Presidente, giornalisti e avvocat* tunisin*. Il perno su cui tutto si orchestra è l'apparato securitario tunisino; la repressione, la paura, il controllo e le pratiche di polizia senza nessun inquadramento né contrappeso hanno ripreso il centro della scena pubblica tunisina rimandando a pratiche di controllo sociale dell'era di Ben Alì. Interessati alla sola stabilità politica della Tunisia, i firmatari dell'ultimo memorandum si pongono in un rapporto di complementarità sia con la deriva populista/autoritaria di Kais Saied che con il razzismo strutturale su cui poggiano le pratiche del controllo frontaliero; rispetto a tutto ciò "[...] today, we take it forward", come ha twittato Ursula von der Leyen per commentare la firma del Memorandum con la Tunisia.