La discrezionalità dei controlli e il regime di frontiera.
Snapshots da Lampedusa
Ottobre 2023
Nel mese di ottobre 2023 la maggior parte delle persone arrivate a Lampedusa ha dichiaranto nazionalità siriana, eritrea, sudanese, egiziana e tunisina arivate principalmente su imbarcazioni in legno provenienti dalla Libia e dalla Tunisia. Già nel mese di settembre, insieme agli arrivi dalla Tunisia con barchini in ferro (di persone non tunisine) e in legno (principalmente di persone di nazionalità tunisina), erano aumentati gli arrivi dalla Libia nonostante le continue operazioni di pullback della Guardia Costiera libica.
Dopo gli eventi del 12 settembre scorso e gli sviluppi politici successivi al collasso dell'Hotspot di Lampedusa, il numero di barchini in ferro dalla Tunisia è drasticamente diminuito. Dall'ultima settimana di settembre fino a oggi, infatti, il numero di barche in ferro arrivate si può contare sulle dita di una mano. Se da una parte le condizioni meteo autunnali hanno contribuito ad influenzare negativamente il numero delle partenze, la causa profonda della chiusura della "rotta tunisina" (con il qual termine si indicano le partenze da Sfax a bordo di imbarcazioni in ferro) è imputabile al controllo della zona che da Sfax si estende fino a Monastir da parte delle autorità tunisine. Senza che sia stata implementata alcuna reale collaborazione, a settembre una delegazione tunisina ha visitato la sede di Frontex a Varsavia, con la partecipazione dei ministeri dell'Interno, degli Affari esteri e della Difesa. La visita da Tunisi è stata ricevuta personalmente dal direttore di Frontex Hans Leijtens.
Situazione in Tunisia: intercettazioni in mare, operazioni anti-terrorismo a Sfax.
Stando al contatto X (prima Twitter) di JihedBrirmi:
Le testimonianze dirette e le informazioni raccolte da attivist3 a Sfax raccontano di operazioni di polizia sistematicamente al di fuori di ogni garanzia di diritto. Come successo e denunciato già a Luglio, sono riprese le deportazioni coatte di persone senza documenti e provenienti dai Paesi del sud del Sahara verso i confini con la Libia e l'Algeria. Come ci racconta Albadry arrivato in Italia negli ultimi giorni:
Sono stato arrestato nell'appartamento che avevo affittato con i miei amici. Eravamo quattro persone, tre sudanesi e una della Repubblica del Mali. Eravamo venuti in Tunisia in cerca di sicurezza, pace e benessere. La polizia mi ha portato al suo quartier generale e siamo stati tutti interrogati nella sede della Guardia Nazionale di Frontiera. All'inizio, il trattamento è stato buono da parte della polizia che ha accettato l'indagine, ma siamo stati sorpresi da percosse dopo l'indagine. Siamo stati portati in una prigione temporanea in cui non c'erano servizi di base gratuiti come cibo e bevande. Poi siamo stati deportati in una prigione chiamata Al-Tineh a Sfax. Dopo 15 giorni, siamo stati portati in tribunale e condannati a due mesi per immigrazione clandestina, anche se... Abbiamo una carta dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Tunisia. Il trattamento in carcere è pessimo. Non c'è acqua potabile. Bevevamo dall'acqua del bagno, che è molto salata. Le stanze sono strette e ci sono molte persone. Non c'è aria condizionata. C'è un riscaldamento micidiale. Il cibo è poco. Non ci sono vestiti né scarpe. Non c'è assistenza sanitaria o medica, c'è un'evidente negligenza.
Come preannunciato a inizio Settembre dalla pagina ufficiale del Ministero degli Interni tuninsino, il 19 Settembre un'ingente operazione di polizia ha sgomberato la zona di Bab Jebli, da quest'estate punto di accampamento per migliaia di persone ormai impossibilitate ad affittare una casa in quanto nere e senza documenti. Alle operazioni hanno partecipato le forze e i mezzi delle brigate anti-terrorismo con quad, droni ed elicotteri. Tra gli obiettivi, quello di individuare e smantellare le reti di smugglers sparse sul territorio. Stando alla testimonianza diretta di persone arrivate dalla Tunisia, le coste sono altamente sorvegliate e le azioni di depredazione, deportazione e repressione della polizia nella zona di Sfax costanti.
In un simile contesto di estrema discrezionalità delle forze di polizia, restano opache le azioni di agenzie internazionali come IOM e UNHCR, astando ancora alla testimonianza di Albadry:
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati non funziona bene. Eravamo per strada. L'UNHCR non ci ha fornito un alloggio. Abbiamo delle tessere, ma non contengono somme di denaro. Anche il governo non riconosce questa carta. La prova è che siamo stati arrestati e condannati per immigrazione clandestina. L'organizzazione per l'immigrazione non ha problemi. Ci ha fornito un pasto. E acqua un giorno
Le operazioni di controllo delle coste di Sfax sono avvenute in piena rottura politica tra il presidente Kais Saied e la Commissione europea. Sebbene il 22 Settembre quest'ultima avesse annunciato il rapido invio di una parte dei finanziamenti previsti dal memorandum firmato a luglio scorso, il Presidente tunisino, il 3 Ottobre scorso, ha rifiutato la tranche prevista dalla Commissione europea nella misura in cui, secondo le sue dichiarazioni:
"La Tunisia, che accetta la cooperazione, non accetta nulla che assomigli alla carità".
In una visione squisitamente eurocentrica, giornalist3, analist3 e attivist3 hanno interpretato la decisione politica come una sceneggiata messa in piedi dal Presidente tunisino per giocare il classico gioco di aprire e chiudere la frontiera per esercitare pressione politica a livello europeo. Alla base della rottura del Memorandum, invece, c'è, da una parte, la fermezza politica di Kais Saied (più volte sottolineata) di non giocare il ruolo di controllore delle frontiere d'Europa, e, dall'altra, la reale intenzione di controllare il territorio tunisino e ogni forma di organizzazione che sfugge al controllo statale, sia essa politica (oppositor3 politic3, attivist3, ONG) che economica (reti di contrabbando e di passeurs). Il sovranismo statale - il monopolio dello Stato nel controllo del territorio – piuttosto che l'opportunismo politico è il filtro con cui leggere l'intenzione politica di Kais Saied, allo stesso tempo punto di convergenza con la visione politica di Giorgia Meloni e giustificazione al carattere repressivo e dittatoriale del sistema politico orchestrato negli ultimi anni.
Arrivi dalla Libia e dal sud della Tunisia e le operazioni di pull-back.
Sebbene gli arrivi in barchini in ferro siano stati quasi assenti nell'ultimo mese, numerosi sono stati gli arrivi dalla Tunisia di uomini, donne e intere famiglie tunisin3. La maggior parte degli arrivi di ottobre, ad ogni modo, sono avvenuti attraverso grosse imbarcazioni partite dalle coste libiche e con persone dichiaranti nazionalità pakistana, siriana, egiziana ed eritrea (dato non esaustivo).
Arrivo a Lampedusa di un peschereccio partito dalle coste libiche con circa 240 persone a Bordo.
Ph. Maldusa
Rimangono costanti le operazioni di pull-back e le pericolose intercettazioni della guardia costiera libica. Secondo il profilo X (Twitter) di OIM Libia, dal 1 al 21 ottobre 2023, all'incirca 899 persone in partenza dalla Libia sono state intercettate e arrestate; 430 le persone intercettate tra il 22 e 28 Ottobre.
Alcune di queste operazioni sono state denunciate e documentate direttamente dalle ONG e dagli attori civili presenti in Mediterraneo centrale.
Il primo ottobre la pagina di SeaWatch segnalava manovre pericolose ai danni di un'imbarcazione di persone in movimento da parte della Guardia Costiera libica che ha anche minacciato l'equipaggio della Open Arms (successivamente multata e in fermo amministrativo per 20 giorni).
Il 18 Ottobre è la pagina della Luoise Michel a denunciare un eccessivo avvicinamento da parte dell'imbarcazione della GCL durante un'operazione di recupero di 50 persone a bordo di un'imbarcazione.
Venerdì 27 ottobre, poi,in seguito alle operazioni della GC libica di cui SeaEye4 è stata testimone, quattro persone hanno perso la vita e altre risultano tuttora disperse.
L'ultimo episodio di pullback è quello di cui è stata testimone la crew di Aurora, imbarcazione di SeaWatch.
Quotidiane sono le denunce delle violenze subite in Libia da chi viaggia senza visti. In tale contesto risultano particolarmente gravi le indicazioni date dal IT MRCC alla nave Mare Jonio di coordinarsi con la Guardia Costiera libica per poter far sbarcare le 69 persone salite a bordo della nave di Mediterranea.
Hotspot come anticamera del carcere di Agrigento.
Sebbene le investigazioni all'interno dell'hotspot e i controlli di polizia non si siano mai fermati, con l'arrivo dei barconi dalla Libia sono sempre più frequenti le perquisizioni e il controllo dei documenti al momento stesso dello sbarco. E' riemersa, inoltre, l'intenzione – non applicata ai barchini in ferro quest'estate - di criminalizzare i cosiddettiscafisti, ossia i conducenti delle imbarcazioni. Con l'obiettivo di voler indebolire la rete che permette alle persone di partire dalla Libia, le domande e gli interrogatori (con controllo delle immagini sui telefoni personali) da parte degli agenti di Frontex e della squadra mobile sono tesi ad individuare chi ha guidato l'imbarcazione e ad aprire le inchieste. Diversi ragazzi, principalmente egiziani e di età tra i 20 e i 30 anni, sono stati incarcerati nella casa circondariale di Agrigento nelle ultime settimane con l'accusa di scafismo. Spesso le persone non sono a conoscenza di quello che sta succedendo e non hanno mediazione linguistica se non al primo incontro con il Giudice. Considerato, inoltre, il reale funzionamento del carcere di Agrigento, non c'è la possibilità di contattare tempestivamente le famiglie. Alcune persone incarcerate senza risorse economiche, con cui Maldusa è entrata in contatto, dichiarano di non aver potuto ancora chiamare le famiglie dopo un mese dall'arresto.
L'hotspot di Lampedusa, come più volte denunciato, è un luogo multifunzionale in cui si svolgono diverse operazioni; tra queste, appunto, quelle di investigazione e di polizia. Sebbene la maggior parte delle persone venga trasferita nel minor tempo possibile, altre vengono bloccate in Hotspot per indagini, di solito oltrepassando le 48h concesse per diritto e senza che, nelle ore successive, vi sia effettiva disposizione del potere giudiziario.
E' quanto messo in luce dal caso di M., ragazzo arrivato a Lampedusa e rimasto nell'Hotspot per più giorni seguito da un gruppo di avvocat3 di ASGI. Nonostante la disposizione della Questura per il suo rilascio immediato, per il responsabile dell'Hotspot questi era "libero ma non poteva uscire". La spiegazione di questa apparente contraddizione riposa sulla prassi di fare dell'Hotspot di Lampedusa un centro chiuso. L'intervento del gruppo di avvocat3 ha permesso di riportare le disposizioni di polizia all'interno di uno schema inquadrato da diritti e doveri, dando la possibilità di uscire e rientrare dal centro alla persona assistita e di inaugurare il registro delle entrate e delle uscite dall'hotspot, come funziona già in altri hotspot d'Italia.
Ad aggiungere gravità a questa prassi è che regolarmente non viene data nessuna spiegazione alle persone interessate. Un gruppo di persone siriane e palestinesi costrette in hotspot per più di sei giorni, messesi in contatto diretto con Maldusa, hanno dichiarato di non essere a conoscenza dei motivi della loro "permanenza" (trattenimento). La discrezionalità con cui agiscono e prendono forma i controlli di polizia è riflesso dei rapporti neo coloniali su cui poggiano le istituzioni tese a controllare i flussi migratori. Esattamente sulle illegittime condizioni di detenzione si è espressa la Corte Europea per i Diritti Umani (CEDU) pubblicando, il 19 Ottobre 2023, tre sentenze riconoscendo la violazione dell'art. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e dell'art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione Europea dei Diritti Umani e condannando l'Italia in relazione alle condizioni di trattenimento subite da alcuni cittadini stranieri nell'Hotspot di Lampedusa in un periodo di tempo compreso tra il 2017 e il 2019.
Sulla discrezionalità dei controlli in mare.
Pescherecci tunisini portati a Lampedusa nel mese di Ottobre 2023 dalle autorità italiane.
In tutt'e due i casi gli equipaggi e le imbarcazioni sono rientrati in Tunisia dopo controlli. e lunghe attese senza la presenza di mediatori.
Ph. Maldusa
Se le prassi nell'Hotspot si smarcano da ogni forma di garanzia di diritto, sulla scia della stessa discrezionalità si inseriscono le operazioni di controllo e polizia in alto mare sui pescherecci tunisini. Nell'ultimo mese tre pescherecci tunisini sono stati portati a Lampedusa per controlli. Ignoto resta il numero di operazioni di controllo e perquisizioni effettuate in mare aperto e, ancor meno chiare, le forme che assumono tali operazioni. Ci si domanda, infatti, quali siano i limiti degli interventi di azioni di polizia in mare aperto su pescherecci battenti bandiera tunisina? Quali sono le garanzie in un contesto dove i mezzi e le forme di controllo e di criminalizzazione diventano sempre più variegate? Sono ammesse perquisizioni a bordo o solo il controllo a distanza; armati o non armati; e quali corpi di sicurezza possono intraprendere tali operazioni?
Nella nebbia di informazioni e operazioni poco trasparenti si intravede l'alto rischio di proiettare sospetti sui pescatori tunisini in mare sulle cui manovre si cuciono facilmente teorie criminalizzanti.
Queste ultime operazioni di controllo rimandano a quanto successo quest'estate, quandohanno preso forma le operazioni di controllo su pescherecci tunisini da parte di Gdf e GCI. Particolarmente emblematico di una certa discrezionalità è stato il ruolo svolto in tali operazioni da parte dei mediatori OIM, il cui contratto, definito entro il progetto europeo PASSIM3, prevede di svolgere attività di mediazione unicamente nelle operazioni di rescue (e non, dunque, in quelle di controllo).
Hotspot, carcere, centri di detenzioni e mare sono i piani sovrapponibili su cui i ruoli di organizzazioni e individui tendono a confondersi e a convergere sulla funzione di controllo e filtraggio senza formali garanzie alle derive detentive insite al sistema Hotspot stesso.
Law enforcement, naufragi e corpi ritrovati sulle spiagge del Mediterraneo.
Nelle ultime settimane è aumentato anche il numero di interventi da parte dei mezzi della Guardia di Finanza nei casi in cui erano stati segnalati arrivi di imbarcazioni con persone prive di documenti. In pratica, i mezzi della Guardia di Finanza attendono le imbarcazioni segnalate al limite delle acque territoriali, a volte mancandole e cercando invano per diverse ore. Quello che si legge tra le righe, è che la priorità operativa è quella di rimanere nelle acque nazionali e la volontà essenzialmente politica è quella di non intervenire facilmente oltre le 12 miglia e certamente non oltre la zona SAR italiana. È una prassi, questa, che ci riporta allo scenario degli anni passati e a ragioni di ufficio che tendono a preferire la categorizzazione degli eventi come operazioni di law enforcement piuttosto che di salvataggio. È proprio criticando questa dinamica che Omid Firouzi Tabar ha scritto delle operazioni intorno al caso Cutro:
Si interviene dando priorità a un'operazione repressiva contro eventuali "clandestini" a bordo invece di attribuirla a un'azione di ricerca e salvataggio (SAR), e si procede, con conseguente assunzione di responsabilità, all'invio di due unità della Guardia di Finanza invece di inviare le imbarcazioni, specializzate nel soccorso anche in condizioni critiche, della Guardia Costiera.
Nel mese scorso sono stati registrati diversi naufragi e diverse le persone che risultano ancora scomparse. Oltre ai 4 morti precedentemente menzionati in seguito alle tese operazioni che hanno coinvolto 40 persone partite dalla Libia, la Guardia Costiera libica e SeaEye4, la notte del 29 ottobre scorso un peschereccio partito dalla Tunisia si è rovesciato a pochi metri dalla costa di Marinella di Selinunte, nel Trapanese. A oggi 6 sono i corpi ritrovati senza vita e tra i 15 e i 20 i dispersi.
All'inizio di ottobre un'altra imbarcazione naufragò con a bordo 24 persone, 7 delle quali sono state salvate da un peschereccio tunisino e assistite inizialmente dalla Crescente Rossa tunisina; di 17 non si hanno più notizie. Tra la notte del 28 e il 29 ottobre un'altra imbarcazione, con a bordo 17 persone di cui la maggior parte famiglie siriane, sono scomparse in mare dopo essere partite dalle coste libiche. Insieme ai casi sopra elencati di cui anche Maldusa è stata informatada conoscenti o famiglie, il network di Alarm Phone dichiara di aver ricevuto la segnalazione per la scomparsa di 2 persone in un'imbarcazione le cui 45 persone a bordo risultano ancora scomparse.
Lungo le coste in Tunisia, Libia e Lampedusa sono stati ritrovati diversi corpi spiaggiati senza vita e sui quali non si applicano precise e regolari procedure per il riconoscimento (i.e: autopsia e prelievo del DNA). La stessa discrezionalità che fa da filo conduttore alla necropolitica stesa su tutto il mediterraneo emblema di quel potere e capacità di decidere chi può vivere e chi può, più facilmente, morire o scomparire.