Non si può morire per un trasbordo in mare.
Snapshots from Lampedusa:
il ritorno dei barchini in ferro, gli arrivi dalla Libia, l'impasse dopo la fine del PASSIM3 e le responsabilità delle autorità nei trasbordi in mare.
Il fine settimana scorso, tra le giornate di giovedì 9 e sabato 11 novembre, sono arrivate a Lampedusa diverse imbarcazioni partite dalla Libia e dalla Tunisia. Dopo un mese in cui non si sono (quasi) registrati arrivi di barchini in ferro, in un solo weekend all'incirca 12 imbarcazioni in ferro sono riuscite ad attraversare il Mediterraneo centrale. Ignoto resta il numero di barchini intercettati dalla Guarde Nationale tunisina e il numero di naufragi al largo di Sfax. Delle persone sbarcate a Lampedusa hanno riferito di un naufragio avvenuto il 10 novembre nelle acque tunisine con decine di dispersi.
Nelle ultime 3 settimane sono sbarcati a Lampedusa 5 pescherecci partiti dalla Libia. Nell'immagine pubblicata sul profilo X (ex-Twitter) di Scandura la lista delle imbarcazioni con il numero di persone a bordo.
Tra la notte del 10 e la mattina dell'11 novembre 716 persone sono arrivate su 14 imbarcazioni; solo 2 delle 12 arrivate sono partite dalla Libia, il resto dalle coste di Sfax su barchini in ferro.
Nella giornata del 10 novembre, durante le operazioni di rescue effettuate dalla CP classe 200, il barchino (in ferro) si è capovolto con due persone disperse. Il giorno successivo, in seguito a un altro naufragio, gli assetti della Guardia di Finanza hanno portato a Lampedusa il corpo di un ragazzo eritreo morto annegato.
Nella giornata del 15 novembre si è registrato un altro naufragio, anche questo avvenuto durante le operazioni di rescue (questa volta da parte di una delle CP classe 300).
All'incirca 900 persone sono arrivate nella giornata del 14 novembre.
Tra la notte del 14 Novembre e le 11h della mattina del 15 novembre, 1470 persone sono sbarcate sull'isola di Lampedusa.
In Tunisia ci sono ancora migliaia di persone nei campi di ulivi, lo sanno tutti, è la cosa che viene riferita da ogni persona che sbarca a Lampedusa. La drastica diminuzione delle partenze dalle coste di Sfax è solamente legata alla repressioni, ai controlli e agli abusi in atto sul territorio. Come ripetuto più volte, dal nostro punto di vista il vero effetto dei controlli di frontiera non è quello di fermare le partenze/gli arrivi bensì di rendere i viaggi più violenti, costosi e pericolosi.
Tra il 10 e il 17 novembre, sono stati registrati 4 naufragi con 4 persone scomparse e una salma portata a Lampedusa. Dei quattro eventi tragici 2 sono avvenuti durante le operazioni della Guardia Costiera.
Nonostante le segnalazioni ufficiali di AlarmPhone della presenza di decine di imbarcazioni in mare (tra cui diverse iron boat), tra il 10 e l'11 novembre le operazioni di salvataggio sono state effettuate da due assetti (navi) di grandi dimensioni: uno della Guardia Costiera (la CP classe 200), l'altro della Guardia di Finanza. La CP classe 200, in particolare, non è di solito impiegata in operazioni di rescue bensì per controlli in mare (pescherecci, licenze, etc.). Le dimensioni dell'assetto, infatti, lo rendono poco adatto alle delicate operazioni di avvicinamento e trasbordo nei casi, ad esempio, di recupero di sovraffollati barchini in ferro, instabili e di solito a pochi centimetri dal livello del mare. Come ci dice un mediatore culturale che ha operato a Lampedusa un paio di anni fa:
Perchè la 200? Di solito fa salvataggi solo in caso di estrema emergenza. Non fanno trasbordo perché è alta e crea onde enormi. O accompagnano la barca fino a Lampedusa altrimenti chiamano la 300. Non è loro scopo fare SAR…loro fanno controllo e operazioni investigative.
[...] ecco come, di solito, avviene un'operazione di rescue: ci si avvicina con la motovedetta (pensando alle CP300) a circa 15 metri, piano piano per non creare delle onde. A quel punto il mediatore/rice chiede di stare dentro la barca e di restare tutt3 sedut3. Cerca di rassicurarl3 e calmarl3, capire quanti sono, se ci sono profili da attenzionare (anziani, donne incinte, bambin3, malat3). Poi parla alla prima persona vicino al motore e gli fa vedere la corda con un cerchio (asola) e gli spiega che deve mettere il motore all'interno di questo cerchio. Lo stesso viene chiesto alla persona dall'altra parte e lui deve tenerla con le mani ma non tirare e non lasciare. Questo detto semplificando ma per spiegare le cose ci vuole una persona che parla la lingua delle persone sui barchini, non può essere fatta in italiano questa comunicazione. Una volta fatto questo, la motovedetta inizia ad avvicinarsi e il mediatore continua a ripetere che tutti devono stare seduti e calmi e nessuno deve muoversi senza l' ordine delle autorità. Una volta attraccata la barca, il mediatore inizia a chiamare le persone e ricordare di non spostarsi nella barcaa…... Questo ovviamente non può essere spiegato in italiano a chi non lo capisce e non dovrebbe avvenire con agitazione; il mediatore agisce da calmante per le persone sui barchini in mare ma anche per le guardie; queste a volte vengono per brevi periodi e non hanno esperienza né formazione in quest'ambito e sono anche loro agitati; per paura di causare un incidente loro stessi si agitano e questo crea un grande disagio al momento delle operazioni con urla di agitazioni ed insulti in italiano e inglese. Che è l'ultima cosa che serve in quel momento.
Negli anni scorsi si sono registrati diversi naufragi al momento del trasbordo, e ci pare legittimo chiederci se siano stati dovuti alle modalità con cui le operazioni di soccorso sono state effettuate.
Il tipo di assetti impiegati dalla Guardia Costiera (motovedette classe CP 300 o 200), e le modalità operative impiegate - che prevedono trasbordi rapidi, in seguito all'affiancamento delle imbarcazioni in pericolo – possono rendere meno indispensabile la distribuzione dei giubbotti di salvataggio prima dell'inizio del trasbordo.
A differenza di quanto avviene nelle operazioni condotte dalle ONG, gli assetti di soccorso statali non utilizzano i "rhib", che permettono di affiancare l'imbarcazione in pericolo e di fare la "spola", tra quest'ultima e l'imbarcazione di di soccorso.Eppure, secondo le testimonianze che abbiamo raccolto, molte delle persone che operano a bordo delle motovedette statali hanno lamentato l'assenza di questo dispositivo, ritenuto potenzialmente salvifico.
Ciò è stato rilevato soprattutto in seguito all'aumento dei barchini in ferro – difficili da avvicinare da parte delle motovedette, a causa dei bordi spesso appuntiti e taglienti, che rischiano di danneggiare le imbarcazioni di soccorso. Oltre a essere strutturalmente non adatti a navigare, il sovraccarico li rende "a filo d'acqua", facendo sì che pochi centimetri d'onda ne possano causare l'affondamento in pochi istanti. In questo contesto, in cui le manovre di avvicinamento sono talmente complesse e pericolose da aver portato in alcuni casi al ribaltamento della stessa imbarcazione in pericolo, la pratica di distribuzione di dispositivi di galleggiamento avrebbe forse potuto evitare alcune morti?
L'uso di piccole imbarcazioni rhib, avrebbe reso più semplice l'approccio dell'imponente CP200, i cui alti bordi rendono, come detto, l'assetto più adatto a operazioni di investigazione e polizia, più che di soccorso?
L'11 Novembre scorso, un assetto della Guardia di Finanza trasportava al molo Favaloro il corpo di A.A., un ragazzo eritreo. L'imbarcazione in ferro su cui viaggiava, partita da Sfax, aveva fatto naufragio e, quando le autorità giungevano sulla scena, tutte le persone a bordo erano in acqua. Dalle testimonianze di amici e fratelli, A.A. veniva risucchiato dal mulinello di acqua che si era creato mentre l'imbarcazione affondava.
La sua morte si sarebbe potuta evitare, se a bordo dell'assetto della GdF ci fossero stati dei medici? Normalmente, il personale sanitario CISOM è a bordo delle motovedette della GdF italiana, ma nelle ultime settimane non era presente a causa del mancato rinnovo dell'accordo per il progetto PASSIM3. Per la stessa ragione, neanche i mediatori OIM sono potuti salire a bordo per varie settimane.
Eppure, quello della mediazione linguistica culturale è un altro tema che meriterebbe grande attenzione; emerge con forza l'importanza, nei momenti concitati, pericolosi e delicati del soccorso, di una buona comunicazione tra chi è in pericolo e chi deve soccorrere.
Come è possibile assicurarsi che le persone comprendano ciò che sta avvenendo, siano a conoscenza delle varie fasi di soccorso, e si sentano al sicuro, limitando reazioni improvvise che possono mettere in pericolo loro stesse e anche i soccorritori, se non è presente nessuna figura che riesca a mediare da un punto di vista linguistico e culturale in quel frangente?
Nel chiederci cosa sia accaduto nelle giornate del 10 e 11 novembre, e se si sarebbe potuto evitare con l'impiego di ulteriori risorse umane, riflettiamo su come le persone che prestano soccorso in mare siano costantemente ostacolate, siano esse civili o istituzionali, da infrastrutture di discriminazione sistemica, e che non sembrano avere come priorità l'efficienza nel soccorso delle vite umane.
Come è possibile che nell'ultimo mese le operazioni di soccorso siano state sprovviste del supporto di personale medico e di mediazione?
Come già sottolineato nel report di ottobre, la fine del progetto PASSIM3 e il suo mancato rinnovo è la causa dell'assenza di questo personale.
OIM (che fornisce la mediazione), CISOM (che fornisce personale medico sanitario) e il Ministero dell'Interno non sembrano aver trovato un accordo per il rinnovo, ma pubblicamente niente è stato esposto a riguardo.
In questa assenza di risorse, in che modo sono avvenute le delicatissime comunicazioni durante le operazioni di rescue in mare?
Molto spesso, a Lampedusa, abbiamo osservato interazioni problematiche tra le istituzioni e le persone sopravvissute al viaggio, in cui le comunicazioni avvengono attraverso grida, in italiano, senza garanzie di reale comprensione.
Piuttosto che agire, dunque, per sciogliere le tensioni di certi momenti delicati, le urla e l'incomprensione reciproca le alimentano. Con le parole dell3 stess3 mediator3 di cui sopra:
Senza mediatore culturale le operazioni diventano più rischiose, le comunicazioni non verbali possono essere capite come non essere capite e si aumentano i rischi.
Se noi all'agitazione rispondiamo con agitazione, questo crea caos, paura ed errori. Ritarda la comprensione delle persone e aumenta il rischio di incidenti..non voglio generalizzare, ci sono squadre diverse tra loro, ma è facile trovare situazioni in cui,durante le operazioni di salvataggio, le guardie vogliono fare tutto veloce veloce...se fare un salvataggio in 15 minuti oppure in 40 qual'è la differenza? Perché questa fretta? La fretta crea agitazione.
Come osservatori e osservatrici della società civile, ci chiediamo fino a che punto possiamo tollerare che le lotte intestine tra Viminale, Guardia Costiera, Organizzazioni, possano impattare così tanto le operazioni di soccorso e assistenza in mare.